La base di partenza per le attività dell’associazione, è il Villaggio bizantino di Vallone Canalotto, che si inserisce in un ben più ampio contesto dal grande valore storico, archeologico, naturalistico e architettonico.
Tale contesto è il territorio di Calascibetta, borgo dalla storia lunga e affascinante, attorniato da ampi pascoli e dolci colline che si alternano a laghi, monti, profondi valloni rocciosi, estesi campi di grano.
Citata da Capuana (“…in cima a un colle tutto fiammeggiante di sole…”) e da Goethe, nel suo “Viaggio in Italia” (“Calascibetta si trova in una posizione estremamente panoramica, ad anfiteatro, su una rupe sforacchiata di grotte… ma chi poteva pensare a godere tale spettacolo…”), la cittadina si erge su un rilievo che i conquistatori islamici chiamarono Scibet, dando così all’insediamento, il nome di Qal’at Scibet (Qal’at= castello/fortezza sul monte Scibet= quiete/calzare). Qui, nell’anno 851, si stabilirono per l’assedio alla Enna bizantina, ed è ad essi che viene attribuito l’attuale toponimo. Tuttavia, anche il resto del territorio, comprese le pendici della città e il suo centro storico, mostrano una continuità di frequentazione che si perde tra le nebbie del tempo.
Fin dalla tarda Età del Rame (2700-2300 a.C.), come dimostra la necropoli di Contrada Malpasso, l’uomo si è insediato in quest’area, prediligendola per le tante sorgenti, i terreni fertili, lo zolfo, i boschi, le vie di comunicazione fluviali e, soprattutto, quelle di terra, sono dodici, infatti, le Regie Trazzere che intersecano il territorio, e che permisero lo spostamento di merci, mezzi, uomini e animali, verso ogni angolo dell’isola, rappresentando così un’importante snodo viario e uno dei motivi che indussero a vivere stabilmente in quest’area.
Ad un periodo ancora precedente, risale l’insediamento di Case Bastione, abitato fin dal Neolitico finale, oggi in territorio di Villarosa, ma a pochi chilometri da Calascibetta, testimonianza di una presenza dell’uomo in questo territorio, ancora più antica di quello che imporrebbero i limiti territoriali.

I tanti siti archeologici censiti, alcuni dei quali studiati approfonditamente (ricordiamo il grande lavoro di Luigi Bernabò Brea e di altri archeologi come Orsi, Adamesteanu, Albanese Procelli, Pace, Gentili, e più di recente Amata), coprono un lunghissimo lasso temporale, mostrando una frequentazione che va dalla protostoria fino all’età islamica, per proseguire poi, soprattutto all’interno del centro storico, con le testimonianze del periodo normanno e della dominazione spagnola.
Dalla già citata Necropoli di Malpasso (tardo Eneolitico, 2700-2300 a.C.) alle tombe di Contrada Tre Croci (Bronzo antico), dalle necropoli di Vallone Calcarella e Contrada Gazzana (tarda Età del Bronzo-Età del Ferro, ma che mostrano tracce di frequentazione fino al periodo altomedievale) alla Necropoli di Realmese (dall’Età del Ferro al periodo greco-arcaico, IX-VI sec. a.C.), dalle due tombe di Contrada Quattrocchi alla Necropoli di Valle Coniglio (entrambi i siti databili all’età greco-arcaica, VII-VI sec. a.C.), dalla necropoli tardoantica di Contrada Gaspa (anch’essa in territorio di Villarosa, ma a pochi km da Calascibetta) al già citato Villaggio bizantino.
Numerosi, poi, i gruppi di aggrottati sparsi per tutto il territorio di Calascibetta, il cui utilizzo è databile dalla preistoria al ‘900, come nelle contrade Privita-Foresta, Rocca Rossa, Fico, Manna, Buonriposo, Facchiumello, Sinatra, Santitta, Destra, Casa del Mastro, Monte Gaspa, S. Giuseppe, o i ruderi di mulini nel Vallone Calcarella, o di svariate chiese rurali, o ancora le tracce di frequentazione in Contrada Sottafora, a testimoniare ulteriormente un’intensa frequentazione dell’area, senza soluzione di continuità.
Lo stesso rilievo sul quale sorge la città, dalle pendici, fino alla cima, è caratterizzato da numerose cavità, utilizzate dalla preistoria ad oggi: basti pensare all’aggrottato di Via Carcere, sito in pieno centro storico, mentre, per nulla rari sono garages, depositi o cantine in grotta, né l’inglobamento, all’interno delle attuali abitazioni, di singole caverne o gruppi di grotte, trasformate e adibite a normali camere.

Il centro storico, inoltre, è custode di un passato che, a livello architettonico, mostra passo dopo passo l’evoluzione storica della città…

La dominazione saracena, iniziata probabilmente nell’851, anno della nascita del quartiere islamico e della costruzione di un fortilizio, per l’assedio alla Enna bizantina, è testimoniata dal tessuto urbano della parte alta della città, fatto di tortuose stradine che convergono nel cortile dell’attuale Via Soprana, dove è ancor oggi visibile un pozzo di accesso al qanat, ingegnoso sistema sotterraneo di canalizzazione e raccolta delle acque. Un altro pozzo di accesso ai tunnel sotterranei per la captazione delle acque, si trova nel cortile S. Lucia, che assieme alla adiacente, omonima piazzetta, rappresenta un’area interessante per la presenza di altissimi bastioni di roccia che, dalle pendici, salgono fino a cingere di una fortificazione naturale, in parte superstite, la parte più alta della città, e che rappresentano il motivo per cui quella zona di Calascibetta non ebbe bisogno della costruzione di mura che la difendessero dalle incursioni, essendo fortificata dalla natura stessa.

Un’area di Calascibetta sempre ambita, quella sommitale, da dove poter controllare bene il territorio. La vista, infatti, spazia dall’Etna ai Nebrodi, dallo strategico Monte Altesina alle Madonie, da Monte S. Calogero al nisseno, da Monte Capodarso a Monte Cammarata fino alla dirimpettaia Enna.
A testimonianza di ciò, nell’anno 1061, cacciati i saraceni dalla sommità del monte, vi si insediarono i normanni del Conte Ruggero d’Altavilla, per il trentennale assedio alla roccaforte dell’allora Qasr Jani (Castrogiovanni, oggi Enna), uno degli ultimi baluardi islamici.
Gli storici filo-aragonesi, confutando l’ipotesi della fondazione della città per mano saracena, attribuiscono tale merito al Conte Ruggero, e tramandano che sulla sommità del monte egli costruì una cittadella militare, il Castello “Marco” e una chiesa-fortezza dedicata all’Apostolo Pietro, santo patrono della città.
La chiesa, nella nuova forma che le venne data nel 1800 (della precedente, costruita nel 1079, rimangono le basi del colonnato e alcuni muri), anche se sconsacrata ed in stato di abbandono, è ancora oggi visibile, così come poche altre testimonianze della presenza normanna. La più evidente di esse è la Torre Normanna (poi divenuta Torre campanaria di S. Pietro) che rappresenta, assieme alla torre campanaria della Chiesa di S. Paolo, quel che rimane di visibile dell’antica cittadella militare, mentre in Via Conte Ruggero, fa bella mostra di sé un arco dalla tipica forma ogivale. Il resto, infatti, è stato distrutto, inglobato o sovrastato da strade, chiese e abitazioni.

Con l’arrivo della casata aragonese, si assistette allo sviluppo urbanistico della città medievale, all’introduzione di usi e costumi della cultura iberica, e di un’arte legata indissolubilmente alla religione. Durante la dominazione spagnola, infatti, fiorirono nuove chiese e monasteri di notevoli valenze architettoniche, influenzate, inevitabilmente, da un gusto tipicamente catalano. Il più importante esempio dell’unione di arte, architettura e religione, risalente a questo periodo, è la Regia Cappella Palatina, voluta da Pietro II d’Aragona, intitolata a Santa Maria Maggiore e dichiarata Regia dal sovrano stesso. L’imponente struttura, ultimata nel 1340, sorse sui ruderi del Castello Marco (a sua volta costruito sui resti del fortilizio arabo e di una chiesa paleocristiana), con una pianta a tre navate, e rappresenta una tra le maggiori espressioni dell’arte catalana nella provincia, oltre che la massima testimonianza visibile e tangibile dell’operato in città del sovrano spagnolo, il quale la arricchì di fondi, oltre che delle decime dei cittadini. Testimonianza di ciò, sono pregevoli opere, come una tela del Sozzi (“Il Gran Conte Ruggero e la Città di Calascibetta”) e quelle dello Svirech e di Lamanna, un ciborio e un fonte battesimale in marmo di scuola gaginiana, i pregevoli stucchi che ornano le absidi e i magnifici archi ogivali delle navate, sorretti da colonne le cui basi mostrano motivi zoomorfi, antropomorfi e apotropaici.

Nello sviluppo urbanistico medievale, si inserisce la costruzione del Monastero dei Carmelitani, con annessa chiesa. La prima, più piccola dell’attuale e ad essa adiacente, risaliva all’anno 1371 e veniva chiamata “L’Annunziata”, e a ridosso della stessa sorgeva l’antico convento dei padri carmelitani. L’attuale Chiesa di Maria SS. del Carmelo, risale al 1771 ed ospita il gruppo marmoreo dell’Annunciazione, realizzato da Antonello Gagini nel XVI secolo.

A Calascibetta visse una delle numerose comunità ebraiche della Sicilia; gli ebrei abitavano in una giudecca oggi individuabile nelle vie Faranna e Roma, ma allora esterna al centro abitato in quanto un proclama, emanato nel 1324 da Federico II d’Aragona, imponeva alle comunità ebraiche di abitare “in luoghi siffatti distinti e separati dalle case dei cristiani”. In seguito, nel 1428, Re Alfonso il Magnanimo cedette agli ebrei la zona dell’abitato detta Borgo, in cui abitarono fino al 1492, anno in cui vi fu la cacciata degli ebrei dai domini spagnoli e da tutta la Sicilia, avvenuta sotto il regno di Ferdinando il Cattolico. Dopo la loro espulsione, il Borgo mantenne il nome di quartiere della Giudea, ed è proprio lì che si trova un bevaio, composto da una vasca circolare monolitica, che quasi certamente rappresentava la fonte per le rituali abluzioni effettuate prima di entrare nella sinagoga, che si trovava nelle vicinanze.

Il ‘400 vide anche la costruzione della chiesa dedicata a S. Antonio Abate e la fondazione della Compagnia dei Bianchi ad essa aggregata, istituita dal Sant’Uffizio Spagnolo. La chiesa fu eretta nel 1409, ed è custode di pregevoli opere, come le statue in stucco dei dodici apostoli attribuibili a Giovanni Battista Sberna di Tusa, il “Sant’Antonio Abate in Cattedra”, opera del pittore bolognese Giuseppe Alvino, e un ciclo di affreschi di Gianforti Lamanna, che occupa il catino absidale.

Tra il 1535 e il 1629, Calascibetta, città demaniale, fu data in pegno per ben due volte per risanare le casse spagnole, ma in entrambi i casi, i cittadini stessi la riscattarono col proprio denaro. Episodi che valsero alla città il titolo di “Urbs Victoriosa” prima, e di “Urbs Fidellissima” poi.
Nel XVI secolo vennero istituiti anche due nuovi ordini monastici, l’ordine dei Frati Domenicani e quello dei Francescani, che si aggiunsero a quello già esistente dei Carmelitani, e ciò implicò la costruzione di due nuovi monasteri, con annesse chiese.
Il primo dei due, il Convento dei Domenicani, e la relativa Chiesa di S. Domenico, furono edificati nel 1573. Probabilmente questa fu anche la sede della locale inquisizione, mentre in epoca recente la chiesa è stata adibita al culto ortodosso.

Il Convento dei Frati Minori dell’Ordine Francescano, nacque, invece, nel 1589.
La chiesa fu edificata nella stessa data, ed ospita, sull’altare maggiore, una tela del pittore fiorentino
Filippo Paladini, “L’adorazione dei Magi”, datata 1610, mentre nei locali del convento, sono due opere raffiguranti lo stesso soggetto, il “Cristo alla colonna”, attribuite allo Zoppo di Gangi.

Numerose e antiche altre chiese, custodi di opere di grande interesse, si trovano tra i vicoli della città, dove sorgono anche vari palazzi nobiliari, il più imponente dei quali, chiamato comunemente “U’ palazzu do’ Baruni”, si trova in Via Conte Ruggero, e la cui facciata, impreziosita dall’antico stemma della città, è costruita interamente con la locale pietra di cutu, una roccia arenaria compatta e resistente, ampiamente utilizzata in passato e che caratterizza gran parte dell’architettura religiosa e civile della città.

Poco fuori dal centro abitato, si trova il Santuario di Maria SS. del Buon Riposo, celebrata nella stessa, omonima contrada, il primo lunedì di settembre, con una sentita festa campestre che si protrae per tutta la settimana precedente, un autentico incontro di tradizioni berbere e cristiane.

A circa 20 chilometri da Calascibetta, la frazione di Cacchiamo, antico borgo feudale, sorto attorno alla splendida Villa Masseria Bongiorno, la cui origine si fa risalire alla volontà degli spagnoli di evitare lo spopolamento delle campagne e la conseguente diminuzione di manodopera in agricoltura.


SEDE
C.da S. Leonardo, snc c/o Marco Morgano
94010 Calascibetta (EN)

SEDE OPERATIVA
Villaggio bizantino
C.da Casa del Mastro, snc
94010 Calascibetta (EN)