Collezionare, per noi non significa paragonare il sito archeologico di Vallone Canalotto al lavoro che fa solitamente un museo, ma è inteso come un momento di confronto tra gli artisti, invitati a donare un’opera, agendo e riflettendo sul contesto sociale ed ambientale.
Una collezione quindi, come un organismo vivente, che cresce e si articola nel tempo, collegando i ruderi del villaggio con nuove produzioni in situ, un dialogo tra archeologico e produzione contemporanea, necessario per dare nuova linfa, per riflettere sulle storie assopite di questo posto, altrimenti abbandonato a sé stesso, dimenticato. Dialogare con gli elementi presenti all’interno del sito archeologico, è l’unica guida e limite che il progetto si pone, assecondando questi equilibri, osservandoli da vicino, sottolineando il loro valore storico e culturale, senza mai stravolgere o immettere materiali invadenti nei confronti della fauna, della flora e del sito in sé: un invito a viverci dentro, per diventarne parte.
Quello che chiediamo agli artisti, è proprio di riflettere su queste caratteristiche, per produrre, non una collezione permanente, ovattata, pensata attorno all’oggetto/manufatto/documento da mettere sotto una teca, ma un’attitudine totalmente volta all’azione in sé, con interventi anche temporanei, immateriali o biodegradabili. Agire considerando sempre il fattore temporale e ambientale, riflettendo così sull’idea di giardino, e di come prendersene cura, sull’artificio umano come un’azione volta a valorizzare, riqualificare e dare nuovi significati ai ruderi che vegliano da secoli sulla vallata.
Questo paragone giardino/museo, diventa un momento di incontro e partecipazione non solo per gli artisti, ma per tutta la comunità. L’idea di collezione come racconto mai completo e univoco, per raccontare ogni volta una storia diversa e alimentata dalle individualità che entreranno a farne parte.

# 1 Radicalibbs – divieto di balneazione

La parola “calibbs”, a Calascibetta, significa eucalipto. Un albero che viene da lontano, trapiantato dalle nostre parti solo di recente, diventa un fatto curioso perché in Italia fa parte di quelle piante definite specie spontaneizzata.
Una vera e propria invasione di calibbs, oggi lo possiamo dire.
Il dono che GER-MANO fa al villaggio bizantino è una riflessione sulla contaminazione che in ogni momento investe la sfera culturale e la conseguente radicalizzazione che un’idea può assumere nella nostra vita quotidiana. Assumendo caratteri spontanei. Esempio pratico: ogni giorno può capitare di passare vicino ad un eucalipto ma difficilmente riflettiamo su quanti chilometri abbia fatto per raggiungerci, a quant’è differente il suo contesto originario, di cosa si nutre o cosa ha comportato il suo arrivo all’interno delle nostre campagne. Questo significa che l’immagine dell’eucalipto si è radicata nel nostro quotidiano finendo per diventare abituale, familiare, non più un estraneo ma un altro piccolo pezzo del nostro bagaglio ambientale e culturale.
Massimiliano, come è suo solito, agisce su tutta la questione con un intervento ironico, giocoso e leggero e allo stesso tempo racconta una storia lunga ed avvolte anche un po’ pesante. Cita principalmente “La tomba del tuffatore” (affresco di epoca Greca sulla lastra di copertura di una tomba, conservata nel museo della città di Paestum) per arrivare ad un surrogato della sua esperienza, ormai consacrata, di artista/disturbatore su tutto il territorio xibetano. Parole d’ordine < tuffarsi nella storia > e < amare le proprie radici >, radicate un po’ dappertutto.

# 2 Da altro fuoco accesi
Sinossi

Lo abbiamo dimenticato, rimosso, seppellito in un angolo remoto della nostra memoria ancestrale. Noi siamo natura: come le piante, come le foglie, come il vento e gli animali, come la terra, e l’acqua del mare. Ma siamo infettati di società, sovrastrutture, elaborazioni e postconcetti, ridondanze, artifici, ipertecnologie.
Un tempo era semplice sintonizzare il respiro sull’onda delle maree, il ciclo delle stagioni, il crescere nel cielo della Luna, oggi abbiamo perso il contatto con la forza saggia e possente della Terra, che è Madre e Guida, Grembo e Nutrimento.
Siamo diventati osceni predatori.
Poi capitano cose terribili che ci riportano ai primordi, alla nuda necessità di cui è costituito il nostro essere, spogliato dal superfluo.
E immediatamente percepiamo che il distacco, voluto, perseguito, spesso come ossequio alla Forma Progresso, ha compromesso irrimediabilmente il futuro nostro e delle generazioni che verranno.
Non abbiamo più né tempo, né spazi, né terra, né verde, né acqua, né aria.
Il tempo della Terra è contato.
Siamo noi ad avere fatto partire il timer del disastro e della fine della specie umana.
Gli incendi dell’estate appena trascorsa sono un segno tangibile di questa incapacità di rispetto dell’uomo verso quella parte di sé stesso chiamata Natura.
Gli incendi di questa estate hanno segnato il punto di non ritorno e lo sterminio di innumerevoli forme di vita, ma anche la percezione netta e amarissima che il degrado abbia assunto le forme di una immorale incapacità di progetto sociale. Gesto omicida e suicida insieme.
Perché allora questo reading: perché era urgente uscire dalle nostre case, che in molti casi sono state assediate materialmente dalle fiamme, e tornare nel grembo di Gea. E’ l’ultima chiamata per venire a vedere non cosa, ma chi ci hanno ammazzato, è un invito di parola, arte, musica, poesia, per esorcizzare e allontanare dal sacro dei boschi le mani delle belve che li hanno violati.
Dentro la confusione e la pochezza di uno Stato e una Regione che non tutelano come dovrebbero il loro patrimonio, bisogna ritrovarsi, guardarsi negli occhi e provare a far partire un incendio diverso: quello del pensiero, della forza della ragione, del presidio della legalità, un’allegria di mani allacciate insieme. Nessuna parola più grande, di quella della poesia, per spiegare perché siamo qui e perché è vitale ripartire da qui.

# 3 La Religione dei Ricordi

“Questa è una «religione» che non ha nulla a che vedere con una confessione particolare, circostanziata; né, tanto meno, ha alcunché da spartire – niente che abbia a che fare – con un generico, indefinito riferimento ai «ricordi».
Qui si vuole porre in evidenza quella preposizione articolata – «dei» –, quell’intermezzo, quasi un interstizio, quell’intercapedine che connette, che concatena i due sostantivi. Di fatto, il luogo dove ci poniamo è, precisamente, nella relazione che intercorre tra i due termini. […]”
Estratto del testo “La Religione dei Ricordi” di Samir Galal Mohamed